Home Page Commento al catalogo - L'intelligenza dei nodi Indietro

Coesione molteplice

 

“Ai grandi racconti dei filosofi c’è una sola tesi da contrapporre: quella della varietà che è irriducibile all’unità, quella del totale non-senso della riduzione a unità di tutto ciò che accade”. Paolo Rossi

A “ben guardare” tutte le cose hanno un significato polivalente (niente è unico, tutto è complesso) ma la nostra mente tende a sottrarsi all’angoscia e alla paura dell’inatteso “riconoscendo” solo quei significati che garantiscono la prevedibilità dei comportamenti. Tendiamo, cioè, a considerare realtà tutto ciò il cui accadere non ci sorprende perché ce lo attendiamo. Quindi la realtà non è una verità ma la conseguenza dell’istinto e dell’azione della nostra mente.
Il vero è solo fantasia.
Ci sentiamo “tranquilli” solo quando riusciamo a leggere ciò che accade nel mondo in modo univoco e calcolabile e quindi prevedibile.
L’arte, invece, non si è mai sottratta al disagio, al dramma e alla complessità, anzi ne ha fatto il terreno della sua indagine, riuscendo, a volte, a trasformare l’improbabile in probabile, penetrando una realtà ricca di doppi fondi, di simboli, di qualità che non si rivelano pienamente. L’arte indaga con il suo sguardo in tutte le dimensioni per aprire lo spettro dell’immaginazione, generando una consapevolezza inaspettata, emotiva e intellettuale che non si riesce a governare completamente ma verso la quale ci si sente continuamente attratti.
Il valore di un’immagine scaturisce dalla relazione tra l’opera d’arte e l’osservatore che trova in sé, nel suo intimo, nella sua cultura e sistema di attese, il senso di ciò che è davanti a lui, stimolato dagli artifici messi in atto dall’artista. La responsabilità dell’interpretazione appartiene solo al fruitore in quanto la sua esperienza estetica non è né prevedibile, né predeterminabile totalmente: la visione è un atto irripetibile e colui che osserva “produce” l’immagine che guarda.
Tuttavia, poiché la sorgente della bellezza risiede sempre più nel processo di comprensione di qualcosa di segreto al di là della forma, ritengo necessario porre una particolare attenzione nel perfezionare e potenziare la comunicazione non verbale con lo spettatore per innescare fertili scintille di pensiero indispensabili a far evaporare quell’incompiutezza che, in genere, aleggia nelle opere contemporanee.
E’ per questo motivo che indirizzo la mia ricerca oltre l’enfatizzazione dell’espressività individuale per rendere l’artefatto un “luogo” di partecipazione e discussione, una sorta di “corpo in movimento”, un contenitore di umanità nascosta.
L’obiettivo che mi pongo è ricercare una forma che organizzi e interpreti il disordine (il reale), cioè il limite che ci scuote, tutto ciò che inceppa la macchina ben oliata della realtà. La realtà, infatti, risponde a un certo ordine naturale (il sole sorgerà anche domani), non ha più bisogno di interpretazioni, ha smesso di farci domande, è il velo che copre l’imprevisto e ciò da cui non si può fuggire. Il reale, invece, è scabroso, disorienta le nostre aspettative, è dirompente, è il lato drammatico dell’esistenza.
Tutto questo sapendo che fare quadri, ancora oggi, ha un senso solo se si ha anche l’ambizione visionaria di contrastare idee preconcette svelando nuovi aspetti della vita, rifiutando modelli espressivi consumati, saturati, autoreferenziali o, peggio, retorici esercizi decorativi, e poter, così, ancora sostenere lo “sguardo collettivo”.
A tale scopo - adottando una sorta di procedimento retorico inverso all’ékphrasis - contamino i miei quadri, affiancandoli a titoli apparentemente incongrui e provocatori ma riferiti al mio “vissuto”, per favorire una fruizione non solo emotiva, contemplativa e relegata nel ristretto recinto del gusto, e permettere al vedere di riflettere su ciò che vede e diventare un’esperienza.
Propongo una particolare ricognizione su un “oggetto non simbolico”, il quadro, perché la percezione senta l’urgenza di una coscienza critica e lucida che dia consistenza all’immaginazione per abitare il nostro tempo e lo spazio diversamente, e scuotere soprattutto quelle menti spente e assopite che alimentano la storia delle apatie e delle crisi di ideali.
Il titolo in un’opera non simbolica, quando è presente, non la trasforma in una raffigurazione o imitazione, ma determina una consapevolezza che sollecita un’interpretazione per svelare ciò che apparentemente è assente e trovare una spiegazione che ha un valore culturale.
Il nodo è un gesto semplice per raccontare un mondo complesso che mi permette, senza manifestare una capacità nell’imitare e una perizia esecutiva, di incarnare nella materia idee che facciano emergere ipotesi di nuove opportunità di convivenza più responsabile, più equilibrata e ospitale e non per tracciare un’artificiosa via di seduzione.
Il nodo, seppur concepito come medium del titolo, nell’economia del quadro non svolge un ruolo passivo ma altera la linearità del messaggio canalizzato e consente una visione guidata non solo da elementi formalistici ma resa permeabile al pensiero, si arricchisce di spunti significativi, però inosservabili, che mettono in gioco tutta una serie di relazioni intenzionali e casuali, legate al contesto storico e all’appartenenza a una tradizione.
Infatti la natura enigmatica, non vaga, del nodo rende possibile il miracolo della trasfigurazione di una “cosa” in un’opera umanizzata, in una sorta di grembo fecondo da cui nascono l’istanza di conoscersi, di comprendere la propria ragione di essere, il proprio principio e la propria fine e come porsi in relazione con gli altri: un metodo che fa perno sul dialogo per accedere alla realtà e orientarsi nel mondo.
L’immaginazione - così suggestionata - non si fa promotrice di un’illusione ma di un’elaborazione molteplice, costituita da scelte ed esclusioni, in cui concorrono simultaneamente sentimenti, emozioni, intuizioni, immagini, idee e riflessioni.
Al nodo spetta, poi, il compito di configurare e dimensionare lo spazio e dare ritmo alla materia, stimolando nell’osservatore una reazione empatica, un’azione motoria quale ripetizione istintiva del processo creativo fatto di stiramenti e compressioni, tali da essere avvertiti alla stregua di respiri e pulsioni vitali.
Il nodo fa sorgere, anche, la percezione di un imminente e ineluttabile accadere per effetto dell’oscura energia che la materia annodata sembra celare e a stento contenere: a volte il senso germoglia dalla mancanza, da ciò che non si vede ma di cui avvertiamo la presenza.
E infine, contribuisce a strutturare una forma che non nasce dal coordinamento di un insieme di parti distinte e unite armonicamente ma da un’unione in cui ogni singola parte ha perso la sua autonomia, approdando a una coesione molteplice: un richiamo diretto alla circostanza che, rispetto ai limiti e alle criticità della contemporaneità, spesso il disagio individuale perde la sua singolare specificità per divenire il riflesso di un amaro, inquietante e insostenibile destino comune, spesso, bisognoso di cambiamento.