Indietro Laura Coppa

Testo critico sul catalogo "L'intelligenza dei nodi"

 

Intrecci di senso

A volte, forse, fanno bene i bambini. Sbagliano a pronunciare le parole, ma solo perché ne intuiscono la natura complessa e, alcuni errori in realtà, trasformano il suono in un simbolo adatto al proprio significato. Ecco dunque che il "nodo" diventa un "nodro", di modo che, quella di e quella erre insieme, imitino nella pronuncia la forma dell'oggetto in questione. E per rimanere in tema, un nodo non è mai una cosa semplice, se si considera che, quello di imparare ad allacciarsi le scarpe, è un traguardo fondamentale dell'età della ragione.
Un nodo è un contenitore sigillato, un meccanismo tanto più complesso quanto più è articolata la sua forma.
Un nodo crea un legame stretto, magari indissolubile, o magari soltanto apparente come in un gioco di illusionismo.

Ogni opera di Gualtiero Redivo contiene uno o più nodi e ciascuno di essi è un'identità unica. Vi sono nodi a suggellare, a chiudere ermeticamente e nodi talmente avviluppati su se stessi da rimandare alla sola celebrazione della bellezza d'insieme, svincolata dall'ipotetico uso. Poi vi sono nodi recisi: nodi come appendici inette di un contenitore e contenuto che non c'è più, o che forse, non c'è mai stato. Solo in alcuni casi, piccoli e timidi nodi apparentemente analoghi fra loro, sembrano galleggiare sulla medesima superficie pittorica come esseri confusi e smarriti.

Redivo celebra il nodo. Ne enfatizza la forma, la purifica dalle casualità, la rende portatrice di un proprio codice estetico e ne risalta la materia, giustapponendola a un contesto che non è mai dettato dal caso. È così che ogni pezzo - ma forse è più appropriato chiamarle "sacche di senso" - diventa una storia che si forma intorno ad un concetto. Ogni aspetto dell'opera pare invitare il fruitore ad avvicinarsi al fine di stabilire un contatto diretto: un rapporto - quello fra l’opera e chi la osserva effondere il proprio senso - che va vissuto intimamente, come una confidenza fatta sottovoce e lontana da sguardi indiscreti. Una sorta di raccoglimento, di concentrazione sul discorso che si intuisce da subito non essere affatto superficiale; la necessità di godere di ogni piega e di ogni grinza, di scoprire le piccole sfumature del colore e tentare di memorizzare gli effetti che la luce e le ombre hanno sull'intera resa, anch'essi non casuali. L'impulso di spiarne la stessa materia, o meglio, i materiali: le morbidezze disilluse e le ruvidità disvelate, quasi fossero leghe uniche o, semplicemente, l'ambiguità della cellulosa che non ha ancora deciso se essere carta o stoffa.

Nell'opera di Gualtiero Redivo la materia diventa una prostituta che invita la mano a scivolarle addosso e il naso a inspirarne l'aroma di canapa, cotone, colle o chissà... È così che l'opera ammalia: forma, materia, colore, luci e ombre. Attira all'interno del proprio recinto illusorio mentre tesse la sua tela: quella che cattura, quella di un discorso a cui il titolo dà principio. Ogni titolo è allusivo, carico di argomentazioni sottese e di un profondo senso sociale, politico, o semplicemente umano. E per quanto possa apparire estraneo o disconnesso dalle informazioni visive che in quel momento si subiscono, quel titolo ha già fatto scattare il meccanismo che serra l'attenzione del fruitore all'opera e la annoda stretta: a quel punto diventa essenziale trovare il nesso che, forse è impalpabile, ma di cui si avverte l'imponente presenza.

Ecco perché ogni opera di Gualtiero Redivo richiede un desiderio "famelico" di contatto, di gustarne indisturbati la forza materica, l'ordine delle forme e le armonie cromatiche. È con il supporto del titolo che divengono "sacche di senso" il cui contenuto si ha la necessità di conoscere o, per lo meno, di autoindursi a credere che se ne sia supposta l'esatta sostanza.
Forse dunque, non è altro che un'urgenza quella che induce a cogliere attinenze tra il nodo informe di una cravatta o di un papillon e le possibili maniere di politicare, o ancora, quel sacchetto di tela che automaticamente diviene ovvia citazione dell'elemosina, se non vera e propria indulgenza. Eppure, incipit e termine di ogni discorso è sempre il nodo, anche quando sembra muoversi e attorcigliarsi su se stesso come un corpo imprigionato e anche quando sembra tanto simile a un solidale abbraccio. Poi ci sono i colori: quelli di un sole che, rifrangendo la sua ultima luce attraverso le spesse nubi, dipinge un tramonto, un tramonto ad occidente. È facile lasciarsi ingannare, perché ciascuna delle componenti dell'opera (ma abbiamo detto "sacca di senso") ha gli stessi poetici orditi del tramonto, ma è la trama, che il titolo fila, a far tramontare non il sole, bensì l'occidente.
Gualtiero Redivo non svela l'arcano, ma lo ripete all'infinito.