Indietro Enrico Sciamanna

Testo critico su Atti Accademia Properziana del Subasio - Assisi (anno XIV - n° 3):

Arte Materica, Surrealismo Astratto e Arte Povera

Arte materica, surrealismo astratto, arte povera sono definizioni che ben si attagliano al modo di comporre di Gualtiero Redivo. Senza nulla togliere all’originalità che rappresenta un valore primario, le sue opere ben si inseriscono in una tradizione che si è consolidata nel dopoguerra in poi in Italia e all’estero e da Burri ha avuto molti epigoni e diverse interpretazioni a vari livelli.

Tuttavia l’inquadramento in contesti e definizioni non diminuisce affatto il portato di creazioni che per altro fanno della simbiosi forma colore, a mio avviso, il dato maggiormente incisivo della sua produzione, ben più che la scansione esatta, che a prima vista potrebbe apparire il dato più saliente, senz’altro funzionale al suo modo di concepire, ma restringere a questo la lettura mi sembrerebbe francamente una diminuzione, una limitazione dell’angolo visuale verso la sua espressione.

La materia gonfia e cerca spazio al di sopra del supporto e assume conformazioni riconoscibili o alludenti, saturandosi di pigmento e fa scaturire una sensualità che è variamente velata dal rigore geometrico a cui l’artista cerca di ricondurla. La pregnanza concreta di forme e cromie spinge, urta quasi gli spazi preordinati e si insedia, forse al di là del volere dell’artista stesso.

I nodi, le carni, gli alberi, le lacerazioni, gli impasti palpitano e mettono in discussione le regole, sono più urgenti delle sezioni auree e delle potenze. Insomma conta di più il fascino della composizione nel suo complesso, pur realizzata con materiali talvolta vili e colori aggressivi, niente affatto meditati, di quanto non esuberi la regola, la disposizione rigorosa, il ritmo.

L’impostazione dell’opera in chiave armonica favorisce però una interpretazione in senso classico. Perché l’equilibrio, determinato da giuste dosi, pur nell’impianto che si basa soprattutto sulla materia volgare, espulsa, di scarto, è un obiettivo sempre tenuto presente nel lavoro, che a dispetto dei materiali e della loro provenienza, risulta pulito, meticoloso.

Si potrebbe dire che il rifiuto si riscatta, grazie alla cura che l’artista gli dedica agendo con una nobile operazione di riciclaggio.

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Testo critico sul catalogo della mostra “La macchina dei nodi”

“. . . perché questo è il nodo”

È un progetto ambizioso quello che traccia e realizza Gualtiero Redivo: far coincidere nel proprio lavoro etica ed estetica tramite un’operazione che si basa sulla semplicità, sulla minimalità delle forme, e contemporaneamente sulla densità dei concetti, dei sentimenti, su un credo ferreo. Sostanze e stesure sono manipolate a un grado base: stoffe colorate e disposte grossolanamente sulla superficie, ripiegate a comporre un disegno semplice, evocando casualità, apparente approssimazione, basandosi sull’iterazione del quadrilatero, ma superando il vincolo della bidimensionalità, divenendo coagulo di materia – spazio – pensiero. L’artista affida alla ricercata semplicità della forma la pregnanza del contenuto che è la sua Weltanschauung di rigore morale, di fede, di aderenza a principi di rispetto per l’essere umano, per valori antichi e non transeunti in aperto dibattito con l’attualità: morale, sociale, quotidiana. Tratto fondamentale del suo procedere artistico è il nodo, che si configura non soltanto cifra stilistica, grafema costante, ma richiamo obbligato ad una sosta logica, ad una riflessione sui cardini delle relazioni tra le cose dell’universo, sia in termini materiali sia, soprattutto, spirituali.
È proprio grazie all’essenzialità dell’espressione che il discorso si fa efficace in quanto non concede nessuno spazio al superficiale, al gratuito, a formalismi che esulino dall’obbiettivo principale.
Le irregolarità delle pieghe riflettono le difficoltà nello spiegare un universo troppo complesso per essere racchiuso in una definizione lineare, certa, simmetrica, ma a cui un intelletto sano, come è quello dell’artista, non si può sottrarre. Quindi la piega, l’arricciatura, la lacerazione si presentano come una sintesi tenuta insieme dal nodo che chirurgicamente salda in maniera provvisoria, che si vuole idonea, un logos smisurato ma incombente e ineludibile.
Un discorso a parte merita l’uso dei colori: il carminio sanguigno, il senape, le varie gradazioni del blu – dal celeste agata, all’azzurro acquamarina, all’oltremare – che si alternano al bianco variamente sporcato, a un grigio metallico corposo, ferrigno. Pigmenti, spesso puri, che sovrastano il minimale, che coprono materiali senza pretese, come stoffe e corde, integrandole di senso sovrapponendosi ad una vaga sensualità.
Suggestivo il contributo offerto dalla presenza dei titoli, che sembrano quasi fuoriuscire dalle circonvoluzioni casuali dei tessuti, affiorare dalle superfici intrise di smalto, riverberare dai riflessi, divincolarsi dagli intrecci, garantendo una maggiore ricchezza di significato, divenendo appendice congruente dell’opera, non una semplice giustificazione verbale: “Il consenso senza politica”, “Mondo senza stupore”, “Esiste l’anima dei senza tetto?”. Vi si afferma il ricorrere di alcuni temi, espressi con termini e formule che si ispirano alla medesima sintesi critica, costituendo una coerenza di linguaggio tra figurazione e parola. Anzi, talvolta l’interazione tra tema e prodotto è così fortemente “allacciata” che diventa difficile individuare se sia sorto prima il titolo o la sua esplicitazione artistica. Splende una luce sull’opera di Redivo: quella dell’inflessibilità che gli deriva innanzitutto dalle sue certezze morali e religiose, per quanto queste ultime possano dirsi tali per ogni persona, e la stessa inflessibilità egli adotta per la sua pittura, fermezza che non declina e nulla concede a grazie inutili, a estetismi fuorvianti, a ridondanze, presenti talvolta anche in chi si serve di un linguaggio astratto. Tanto che si possono individuare anche le tappe del processo realizzativo e l’economia dello stesso: l’individuazione della tematica, una più lunga fase di concezione, infine una quasi automatica realizzazione pratica, felice sintesi di pensiero (parola) e azione, che discende dall’intenso precedente lavoro. L’impostazione tende alla classicità, l’equilibrio è conseguito grazie a un giusto dosaggio, è un obiettivo sempre tenuto presente nell’agire pulito, meticoloso. Perciò le opere raggiungono un alto grado di attrattività, un’armonia che funziona da tramite perché il messaggio raggiunga i recessi dell’osservatore, il suo cuore, in particolare la sua mente, la sua onestà.  

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Testo critico sul catalogo della mostra “Pensieri in rosso”

Pensieri in rosso 

Una notevole coerenza di linguaggi è presente nell’arte di Gualtiero Redivo. Insieme ad un’ostinata speranza. Nel caso di questa mostra Pensieri in rosso si riscontra una convergenza ancora più essenziale, un precipitare verso asserzioni che non lasciano spazio ad interpretazioni, ma avvolgono con decisione i problemi. Il declino della società è vertiginoso e la salvezza, non impossibile, passa attraverso un cambiamento di rotta.

Le diverse sfumature di ROSSO, colore particolarmente frequentato, che declinano secondo le morbide ombre e le legature, sono una laica, solenne, litania contrappuntata dalle titolazioni: dichiarazioni semplici, piane, ma pregne. Parole che si snodano e si inerpicano sulle asperità di un mondo che di sé propone soprattutto le storture, a cui la buona volontà, l’affetto, l’impegno, possono, questa è la speranza, offrire opportunità di cambiamento. Gli artisti sono ottimisti per definizione, anche quando appaiono tormentati e disperati. Gualtiero Redivo appartiene alla schiera di coloro che credono nella possibilità che i problemi si risolvano; crede nell’uguaglianza, nel rispetto. Non lo dicono soltanto le parole che sinteticamente descrivono i suoi lavori ampliandone il senso: La verità deve essere un patrimonio condiviso, Anche i pensieri sono migranti, Anche nell’era digitale solo con le mani puoi fare una carezza, che richiama, aggiornandolo, il verso di Davide Maria Turoldo: Io non ho mani che mi accarezzino il viso; impregnando di tenerezza un percorso che si snoda tra le divaricazioni sociali e le arroganze. Lo affermano con energia le sue stesure, le pieghe, i tagli, i legacci, che con la loro semplicità dicono di equità e di collaborazione, di attenzione e di unione; lo dice il rosso delle sue dieci opere che universalmente rappresenta la passione, sia quando sfolgora carminio, sia quando incupisce e mostra lacerazioni non completamente sanate dalle suture.