Indietro Claudio Fiorentini

E-mail ricevuta dopo la visita alla mostra personale “La macchina dei nodi” - Galleria Vittoria (16 aprile 2012)

 

Stracci, gomene, corde, nodi, cartoni, tavole dismesse, colore … ed ora una riflessione sparsa, compressa in un grumo di impulsi elettronici, espansa sul video e tradotta in dialogo. Veloce comunicazione di sensazioni e pensieri, forse il senso vero della vita, che nella nostra Babele quotidiana ha bisogno di nuovi linguaggi, richiede di essere compressa aldilà dei bit, aldilà delle parole, dei dizionari, degli studi accademici, dei codici consolidati.

Io ho assistito alla mostra con occhio di poeta, anima da scrittore e mani da imbrattatore di tele, ed ho trovato il risultato di un lavoro orgiastico, orgasmico, fisico … la pittura è fisicità, non è una macchinazione fotografica. Ma dentro la fisicità c'è l'anima, del resto il corpo è un contenitore, un codice che comprime, come il grumo di bit che trasporta questo messaggio ... ma che pur sempre è messaggio.

Vedere materiale dismesso incollato e legato su un telaio è il mio pane quotidiano, dal nulla nasce il bello, dall’istante dell’abbandono nasce la catarsi della redenzione. Allora nulla è perduto, possiamo ancora salvarci.

Ed ecco la porta che si è aperta.

Una fessura tra due silenzi lascerebbe uscire tanta di quella musica che il mondo potrebbe esserne sconvolto.

Allora leghiamo quel taglio sperando che cicatrizzi, basta un po’ di vernice e un po’ di colla, poi il tempo sarà la sua terapia. Il taglio non c’è più e i due silenzi sono uniti da un segno indelebile che comunque li separerà per sempre, e resteranno due silenzi. Verrebbe voglia di agire, tagliare quei nodi per vedere se il quadro scoppia con tutto quello che contiene, verrebbe da dire che il senso di tutto è dato dalla lacerazione, e che se non ci mettiamo di buzzo buono a ribellarci dagli infernali legacci che ci ingrassano con tutto quello che ci obbligano a tenere dentro, scoppieremo. Ma forse non è così. Certo, il nodo serve per unire, ma serve anche per ingarbugliare, e questa doppia funzione si esplicita nella rappresentazione estetica del suo parossismo.

Insomma, la tua mostra mi fa pensare non tanto alla bellezza, quanto alla necessità di sgarbugliare, slegare, aprire e lasciar uscire la musica!

Facendo una mostra annodata non mi hai detto “slega, taglia, apri, amplia … dentro c’è altro”… ma me lo hai trasmesso! Mi hai fatto sentire che non importa cosa c’è dentro, importa il dato fattivo: qualcosa c’è, e non si può tradire il sogno!

Alla fine ho capito che mi sono specchiato nei lavori esposti, ci ho visto un pezzo di me, e ho tradotto la poesia in sensazioni intime.

Gualtiero caro, non importa quale sia stato il tuo volere nel fare quei lavori, ora non sono più tuoi, hai tagliato il cordone ombelicale e sono miei, sono di tutti quelli che li vedono ... importa quale sia il sentire dello spettatore, e se sono tornato a casa con qualcosa dentro, allora hai fatto centro!